I Frati Cappuccini
L’Ordine dei frati minori cappuccini (OFM Cap) nasce ufficialmente il 3 luglio 1528 con la Bolla Religionis zelus di papa Clemente VII, indirizzata a fra Ludovico da Fossombrone, dopo che lui, insieme al suo fratello di carne fra Raffaele e ad altri confratelli, erano fuggiti negli anni precedenti dai loro rispettivi conventi animati dal desiderio di recuperare un’osservanza spirituale della Regola.
Si legavano, attraverso questo desiderio, a un filone sottile ma continuamente presente nei secoli di storia dell’ordine francescano, di quanti desideravano collegarsi all’esempio di san Francesco e dei suoi primi compagni e alla sua intenzione di vita, così come era stata espressa non solo nella Regola, ma anche nel Testamento, dettato poco prima di morire per manifestare con chiarezza ai suoi frati come dovevano approcciarsi alle parole della Regola:
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«A tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola né in queste parole dicendo: «Così devono essere intese»; ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle, e con santa operazione osservatele sino alla fine».
La Storia
Contro le intenzioni stesse di Francesco, sollecitato da diversi ministri, papa Gregorio IX con la Quo elongati del 1230 – cioè appena quattro anni dopo la morte del Santo – aveva scritto che «a motivo della lunga familiarità che lo stesso santo ebbe con noi, abbiamo conosciuto più pienamente la sua intenzione» i frati non erano tenuti ad osservare le parole del Testamento.
Già negli ultimi anni di vita di Francesco l’Ordine, ormai numeroso e potente, era stato tentato di sterzare dalla radicale intuizione di semplicità della vita cristiana del suo fondatore, tanto che si narra che il Santo stesso, drizzandosi sul suo giaciglio in un impeto di collera, ebbe a dire: «Chi sono questi che mi hanno strappato dalle mani la religione mia e dei frati? Se potrò venire al capitolo generale, allora mostrerò loro quale sia la mia volontà» e a capitolo poi disse: «Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell’umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre regole, né quella di sant’Agostino, né quella di san Bernardo o di san Benedetto. Il Signore mi ha detto che questo egli voleva: che io fossi nel mondo un ‘‘novello pazzo’’: e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza! Ma per mezzo della vostra stessa scienza e sapienza Dio vi confonderà».
Se però, con la forza della sua testimonianza vivente, Francesco manteneva ancora l’ordine nei binari da lui voluti, con la sua morte e con l’esclusione del Testamento, una tensione perenne si insinuò nell’ordine francescano tra quelli che volevano vivere secondo la pura intenzione di san Francesco e ricollegandosi alla semplicità degli inizi, della vita dei primi compagni, e quanti invece volevano un ordine pastoralmente più attrezzato, e che perciò trovava ragione di godere di dispense papali dalla povertà, di ricoprire posizioni non da minori ma di prestigio, non di vivere da pellegrini e forestieri ma di avere le proprietà necessarie alla vita e all’azione apostolica (benché con la fictio iuris dell’uso).
Nei secoli sempre ci fu una sottile linea di fedeltà di quanti vollero ancorarsi alla vita di Francesco e dei suoi compagni, alla sua intenzione, al suo desiderio di un’osservanza non giuridica ma spirituale della Regola (cioè nello Spirito del Signore); dapprima i suoi compagni stessi, frate Bernardo, frate Egidio, frate Leone, frate Masseo e altri che, morto Francesco, vissero ai margini dell’ordine, rifugiandosi negli eremi a custodire le memorie degli inizi; questa eredità fu poi raccolta da frate Giovanni da Parma, frate Corrado da Offida, da fra Ubertino da Casale, fra Angelo Clareno e altri (i cosiddetti spirituali); dal medesimo desiderio nacque nel Trecento l’Osservanza, con fra Giovanni della Valle prima, fra Gentile da Spoleto e fra Paoluccio Trinci poi, che ottennero dal ministro generale il permesso di ritirarsi con dei compagni nell’eremo umbro di Brogliano, dove dar compimento al desiderio di vivere la Regola di San Francesco senza gli adattamenti concessi dalle lettere papali.
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L’esperienza prese piede e alla fine del Trecento gli eremi erano circa una ventina sparsi tra il reatino, l’Umbria e le Marche. La stessa Osservanza poi nel Quattrocento, capitanata dalle Quattro colonne (fra Bernardino da Siena, fra Giovanni da Capestrano, fra Giacomo della Marca e fra Alberto da Sarteano), avrebbe assunto posizioni diverse rispetto agli inizi portando l’ordine in altre direzioni, in una via media che coniugava spirito e diritto.
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Dalla comprensione del ruolo giocato dagli eremi, si comprende il desiderio rinascente agli inizi del XVI secolo dei cappuccini di condurre vita eremitica, da non intendere come anelito alla vita eremitica in senso stretto, ritirata e lontana dagli uomini, ma come stile di vita che voleva riallacciarsi all’esperienza primitiva di Francesco e soci che aveva continuato a ripresentarsi in maniera genuina negli eremi.
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A conclusione di un lungo processo storico sulla scia degli spirituali, del Clareno e dell’Osservanza, con fra Ludovico da Fossombrone si giungerà al convincimento che non era possibile vivere davvero l’intenzione di Francesco rimanendo all’interno dell’Ordine. La vita imposta dalla strutturazione dell’Ordine, cioè, rendeva di fatto impossibile ripresentare l’ideale francescano nella sua purezza, per cui l’unica alternativa possibile, per chi ad esso voleva rifarsi, era di porsi fuori di questa struttura.
Da questa persuasione nacque la fuga di fra Ludovico dal convento degli osservanti di Fossombrone nell’estate del 1525 e tutte le avventurose peripezie che lo portarono, grazie al decisivo supporto della duchessa di Camerino Caterina Cybo, all’ottenimento della bolla papale del 1528.
Le radici della riforma cappuccina penetrano quindi in profondità spingendosi fino alla vita di Francesco conservata nell’esperienza eremitica dei frati. Il moto di riforma cappuccino è la conferma dell’attrazione endemica nella realtà francescana verso l’ideale primitivo, cioè al modello di vita di San Francesco e dei suoi compagni, quale fu tramandato dalle fonti ispirate al più intimo di essi, frate Leone, e dalla letteratura degli spirituali.
Nel primo capitolo generale del 1535/6 a Sant’Eufemia (Roma) furono promulgate le prime Costituzioni, articolate in dodici capitoli, che avrebbero plasmato la vita dell’Ordine, con successivi aggiustamenti non sostanziali, per oltre quattro secoli. Nelle costituzioni del 1536 si dà più importanza allo spirito che alle norme dispositive, in vista di un programma di perfezione animato dal più puro spirito francescano, che si esprime nella tensione ideale di ricerca della mens di san Francesco.
La Regola è considerata la “midolla del Vangelo”, un concentrato del succoso testo evangelico al quale bisogna dare spirituale osservanza. Nel capitolo VI delle costituzioni si afferma la rinuncia ufficiale a tutte le spiegazioni della Regola poiché essa è di per sé chiarissima: come unica glossa è accettato il Testamento.
In seguito, i frati Cappuccini si fecero riconoscere anche come ferventi predicatori del Vangelo e servitori compassionevoli dei malati e dei sofferenti dei loro tempi (rimane memorabile la descrizione che ne fa Alessandro Manzoni nei Promessi Sposi). Nel giro di poco tempo, ai pionieri della riforma cappuccina si unirono numerosi seguaci attratti dalla loro preghiera, predicazione, austerità, condivisione e servizio dei poveri.
La riforma crebbe rapidamente e si diffuse in tutta Europa. A soli dieci anni dai primi passi, i frati erano circa 700, divisi in 12 province religiose. Dopo cinquant’anni, si contavano 3.500 religiosi in 18 province e 300 conventi. Oggi ci sono circa 10.000 frati Cappuccini in tutto il mondo.
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